stampa critica
G I O R N A L I S M O I N D I P E n D E N T E
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G I O R N A L I S M O I N D I P E n D E N T E
Numero 04/2016
Giusy Patera
Giuseppe Macheda, negli anni Ottanta, non ha ancora trent’anni, ed è vigile urbano a Reggio Calabria. È una città difficile Reggio, in una terra dilaniata dalla ‘ndrangheta e che proprio in quegli anni vede scoppiare la seconda ondata di guerra fra le cosche mafiose. Il compito di Giuseppe è quello di tentare di tutelare la sua città: egli fa infatti parte della squadra per la repressione dell’abusivismo edilizio. Le ispezioni vengono fatte in tutta la città, e a Macheda è toccata la zona sud di Reggio, in cui il vigile si trova a denunciare circa cinquanta persone tra imprenditori e proprietari di edifici costruiti senza permesso.
Ma in quegli anni, a Reggio, per attività del genere, si muore: e una sera del 28 febbraio 1985, ritornando a casa in tarda serata, dopo una riunione, Giuseppe Macheda viene ucciso da due colpi di fucile che lo raggiungono alle spalle. Gli inquirenti seguono da subito la pista legata al lavoro di Giuseppe, arrivando a sospettare che il mandante dell’omicidio sia l’imprenditore Carmelo Ficara, vicino alle cosche della zona e impegnato nella costruzione di abitazioni su cui più volte si era soffermato l’interesse della squadra del vigile urbano. Nel 1990 però l’imprenditore è stato assolto da ogni accusa, e a trent’anni dai fatti l’omicidio di Macheda resta impunito, senza un mandante né un esecutore.
Quello di Giuseppe Macheda è uno dei tanti nomi di persone che hanno pagato con la vita la dedizione alla divisa. Forse dopo troppo tempo, Reggio Calabria ha dimostrato di non aver dimenticato il suo impegno, intitolando a suo nome – insieme a quello di Giuseppe Marino, agente ucciso sempre a Reggio Calabria nel 1993 – la sede del Comando di Polizia Municipale della città, nel luglio 2014. L’iniziativa, promossa dal coordinamento reggino di Libera, rientra nella campagna “Il Ricordo lascia il segno” che vuole mostrare, anche a distanza di anni, la vicinanza alle famiglie che vivono in silenzio il dolore a causa degli omicidi mafiosi che troppo spesso vengono dimenticati dai più. Come ricorda Rosa Quattrone, responsabile del gruppo familiari delle vittime della mafia, soltanto “La memoria ci consente di recuperare ciò che abbiamo dimenticato. Il nostro compito è quello di essere testimoni di storie come queste, storie di resistenza civica, con l'obiettivo di trasformare un ricordo privato in memoria collettiva del valore etico delle esistenze dei nostri cari”.
Trent’anni dopo, in ricordo di Giuseppe Macheda
lunedì 29 febbraio 2016