stampa critica
G I O R N A L I S M O I N D I P E D E N T E
stampa critica
G I O R N A L I S M O I N D I P E D E N T E
Numero 04/2016
Lamberto Rinaldi
Tra mille anni, gli storici della lingua italiana si ritroveranno a studiare, a ricercare e a utilizzare come fonte per i loro studi un compito in classe di una scuola elementare del lontano 2016.
Sarà un’attestazione importantissima, sarà l’atto di nascita di una nuova parola. Quasi al pari delle iscrizioni di Commodilla o dell’indovinello veronese, testimoni del passaggio, ormai irreversibile, dal latino all’italiano volgare.
Il piccolo Matteo, questo il nome del bambino che ha coniato il nuovo aggettivo “petaloso”, non sa di essere stato protagonista di un meccanismo che va avanti da millenni. Quello della trasformazione, del rinnovamento e dell’evoluzione della lingua. Un processo fatto di tappe, le stesse che ha compiuto in questi giorni la nuova parola.
Ogni innovazione parte da una deviazione dal canone, dalla forma tradizionale, ed è percepita quindi come errore. La maestra infatti, appena legge quello strano aggettivo, lo sottolinea in rosso. La stessa cosa che fece un altro maestro, Probo, che insegnava a Roma tra il IV e il V secolo d.C. Stanco degli errori dei suoi alunni, scrisse una lista di parole dividendola in due: da una parte la forma corretta, dall’altra quella sbagliata e usata dai suoi allievi. Mille anni dopo, quelle forme errate del latino, che chissà quante urla e punizioni avranno fatto patire, sono diventate la norma dell’italiano.
E magari sarà stato sempre qualche scolaro neanche troppo bravo a scrivere “l’usignolo” con l’apostrofo al posto di “lusciniolus” (diminutivo latino di luscinius).
L’errore si trasforma in regola mano a mano che ogni parlante, come una goccia nel mare, lo usa. Così “petaloso” fa il giro dei social network tra hashtag e immagini, finendo addirittura all’interno dei discorsi del Presidente del Consiglio.
“Un errore bello” lo ha definito la maestra di Matteo. Quasi lo stesso titolo della prima di “Le bustine di Minerva”, rubrica de L’Espresso a firma di Umberto Eco. Era il 31 marzo 1985 e sotto il grassetto “Che bell’errore!” c’era una vera e propria esaltazione dello sbaglio, da Cristoforo Colombo a Madame Curie. Con il consiglio di “allenarsi a rischiare errori, con la speranza che alcuni siano fecondi”.
“Petaloso”, elogio dell’errore
lunedì 29 febbraio 2016